Bullismo e Cyberbullismo: una vecchia, ma nuova, piaga sociale

Le condotte aggressive rappresentano un tentativo di affermazione della propria identità, per acquisire un ruolo e lenire le insicurezze personali.

 Tra le condotte aggressive, il bullismo rappresenta un fenomeno molto diffuso caratterizzato da atti vessatori, intimidatori e aggressivi

Alcuni bambini cercano di affermare se stessi in modo coercitivo, prevaricando ripetutamente e intenzionalmente i coetanei. Questa modalità di interazione sta aumentando sia nelle scuole primarie italiane che all’estero. Il fenomeno delle prevaricazioni tra bambini è stato definito bullismo, adattamento dall’inglese bullying, che indica un comportamento aggressivo, vessatorio e intimidatorio.

Lo psicologo norvegese Dan Olweus ha compiuto ricerche sulla diffusione del fenomeno, ha ideato un questionario anonimo sulle prepotenza subìte e agìte a scuola e ha predisposto una serie di interventi per contrastarlo.

D. Olweus (1986; 1991; 1993) ha spiegato che “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o di più compagni”.

Lo studioso ha evidenziato come il bullismo sia caratterizzato da: intenzionalità che implica la volontà deliberata di recare offesa; sistematicità, che indica una continuità nel tempo delle azioni di sopraffazione; asimmetria di potere, che indica la presenza di differenze fisiche o psicologiche tra bullo e vittima, tali da definire due ruoli, quello del prepotenze che sottomette e della vittima che subisce, spesso senza denunciare, per paura di ritorsioni del bullo.

Recentemente è emersa una nuova forma di bullismo definita “cyber bullismo”, attraverso la diffusione di materiale via internet con PC o cellulari e incentivato da uno scarso controllo e da una maggiore deresponsabilizzazione offerta dal mezzo.

Il bullismo è presente sia tra le femmine che tra i maschi ed è in aumento anche nella scuola primaria.

Gli attacchi del bullo possono essere: diretti o aperti (verbali e/o fisici), come avviene spesso tra maschi,; indiretti o mascherati, attraverso pettegolezzi, calunnie, isolamento sociale e coalizioni tese a svalutare la vittima, come avviene spesso tra femmine.

Il bullismo non riguarda solo il bullo e la vittima, ma coinvolge un intero gruppo di pari, ciascuno con un suo ruolo.

Infatti, il bullo è generalmente il bambino aggressivo, favorevole alla violenza, spesso impulsivo, dominatore, insofferente alle regole, scarsamente empatico e poco sensibile verso la sofferenza delle vittime, che sminuiscono colpevolizzandole o deumanizzandole.

Poi vi sono i sostenitori, che sono suoi seguaci del bullo, lo incitano e lo approvano, senza però prendere parte alle azioni violente. Osservando e incitando, rinforzano il comportamento violento, legittimandolo. I bambini che assumono questo ruolo sono definiti anche “bulli passivi”, sono spesso insicuri e ansiosi e si sentono protetti dalla potenza del bullo.

Poi vi sono le vittime, spesso bambini insicuri e ansiosi, che non reagiscono agli attacchi, piangono oppure si isolano. Sono spesso più fragili dei bulli, sia fisicamente che emotivamente, meno capaci nelle attività di gioco, sportive e di lotta. Spesso hanno una bassa autostima, sono timidi e hanno paura di chiedere aiuto o non vogliono chiederlo, perché si vergognano o temono vendette da parte dei bulli o derisioni dai compagni per non essere coraggiosi.

 Infine vi sono i sostenitori della vittima, che danno il loro appoggio, e i soggetti neutrali, che sanno ma non riferiscono nulla agli adulti, cercano di rimanere estranei, per timore o indifferenza, ma con la loro omertà avvalorano le prepotenze.

Sia bulli che vittime presentano spesso difficoltà nella regolazione e nel riconoscimento delle emozioni.

Il bullo non sa immedesimarsi nella vittima, ne disconosce i segnali di sofferenza, non è consapevole delle sue e delle altrui emozioni perché non sa leggerne i segnali sul volto o nel comportamento.

La vittima a sua volta non sa riconoscere le espressioni di rabbia del bullo, dunque non sa intuire che possa trasformarsi in aggressore e talvolta finisce anche inavvertitamente per provocarlo.

I bulli, se persistono nel loro atteggiamento e comportamento, rischiano di strutturare disturbi della condotta e successivamente disturbi antisociali della personalità, mentre le vittime possono sviluppare depressione anche molto grave, sentirsi vulnerabili e privi di valore.

Gli atti di bullismo infatti non sono da liquidare come semplici “ragazzate”, ma possono diventare pericolosi. È opportuno quindi agire con la prevenzione, con un incremento della conoscenza del fenomeno nella scuola, con la promozione di abilità sociali tra i bambini.

Il metodo più utilizzato per prevenire o intervenire sul bullismo che integra educazione socio affettiva e peer-education. L’educazione socio-affettiva è un metodo educativo di sviluppo della conoscenza di sé e delle proprie emozioni e di miglioramento delle relazioni di gruppo, sviluppando abilità di comunicazione, negoziazione, tolleranza, cooperazione, che sono fondamentali in ambito educativo, affettivo, sociale, lavorativo.

La tecnica più indicata per raggiungere questi obiettivi è il circle-time, che consiste nel disporsi in cerchio, con la consegna di esprimere a turno la propria opinione o emozione relativa ad un problema e la consegna di non giudicare ciò che dicono gli altri, imparando il rispetto dei turni, la tolleranza e la collaborazione.

Per effettuare uno screening e rilevare la presenza di bullismo in una scuola si utilizzano generalmente il questionario “La mia vita a scuola”, che rileva le prepotenze subite e il “Questionario anonimo sulle prepotenze subite di Olweus “, per rilevare il numero e le tipologie di violenze agite e subite, le relazioni con i pari e gli insegnanti e la consapevolezza del problema.

I progetti di prevenzione e intervento sul bullismo sono oggetto di applicazione soprattutto della psicologia scolastica, dell’età evolutiva, dell’educazione, e hanno come obiettivo la riduzione di questo fenomeno e il miglioramento delle relazioni sociali tra gli studenti e gli stessi insegnanti.

Articolo a cura del: 
Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica

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