Chiedere aiuto dopo un evento traumatico: come riconoscere i propri bisogni e iniziare un percorso di sostegno

Quando un evento doloroso scuote l’inizio della vita di un bambino — come un ricovero ospedaliero improvviso, una separazione forzata, un passaggio difficile nella cura — i genitori si trovano a vivere emozioni molto intense, spesso difficili da gestire da soli.
Il senso di colpa, il bisogno di protezione, la paura di aver compromesso in qualche modo lo sviluppo del proprio figlio sono sentimenti comuni, anche se spesso poco raccontati.

In questi momenti, decidere di chiedere aiuto a un professionista può rappresentare un gesto di grande responsabilità e amore verso il proprio bambino. Ma perché questo passo sia davvero utile, è importante che nasca da una consapevolezza profonda: non solo del problema che si vorrebbe risolvere, ma anche dei propri vissuti emotivi e delle proprie aspettative rispetto al percorso che si intende intraprendere.

Non sempre, infatti, il bisogno di aiuto si presenta in modo limpido. Spesso, dietro la richiesta di un sostegno, possono nascondersi urgenze, paure e desideri di riparazione immediata che, se non riconosciuti, rischiano di ostacolare il cammino invece di favorirlo.

Quando il bisogno di aiuto è guidato dal senso di colpa

Il senso di colpa è una delle emozioni più potenti che un genitore possa provare.
Dopo un evento traumatico vissuto insieme al bambino, il senso di colpa può diventare totalizzante, portando il genitore a chiedersi se avrebbe potuto fare di più, se avrebbe dovuto proteggere meglio, se il dolore vissuto dal bambino sia in qualche modo una sua responsabilità.

Questi pensieri non sono sbagliati né patologici. Sono il segno dell’immenso investimento affettivo che ogni genitore mette nella crescita del proprio figlio.
Tuttavia, quando il senso di colpa prende il sopravvento, può spingere a cercare soluzioni rapide e a vivere il percorso di aiuto con una pressione e un’urgenza eccessive.

Non è raro che in questi casi il genitore si presenti al primo colloquio con aspettative molto alte: che il terapeuta “aggiusti” in breve tempo ciò che è stato danneggiato, che il bambino torni in poco tempo ad essere quello di prima, che il dolore svanisca grazie a un intervento esterno.
È comprensibile desiderare tutto questo. È umano voler allontanare il prima possibile la sofferenza dal proprio figlio. Ma è altrettanto importante comprendere che il percorso di guarigione, sia per il bambino sia per il genitore, richiede tempo, ascolto, pazienza.

Non si tratta di cancellare ciò che è accaduto, ma di trasformarlo, integrandolo in una storia di crescita che può comunque essere serena e positiva.
Riconoscere il proprio senso di colpa e imparare ad accoglierlo senza esserne travolti è il primo grande passo verso un vero cambiamento.

Perché il coinvolgimento di entrambi i genitori è fondamentale

Spesso, quando una madre o un padre decide di chiedere aiuto, lo fa in uno stato di forte attivazione emotiva.
Può accadere che l’altro genitore appaia distante, disinteressato, o semplicemente meno coinvolto.
In questi casi, può sembrare una perdita di tempo aspettare il consenso di entrambi.

In realtà, il coinvolgimento di entrambi i genitori, o perlomeno la loro consapevolezza rispetto al percorso che si sta per intraprendere, è un elemento chiave per il benessere del bambino, oltre che un obbligo legale.
Tuttavia, non si tratta solo di una questione legale o formale. Si tratta di offrire al bambino un messaggio di coerenza e di sicurezza: “I miei genitori, anche se diversi tra loro, si prendono cura di me insieme”.

Quando uno solo dei due genitori porta avanti il percorso senza l’altro, si rischia di creare una frattura non solo nella relazione di coppia, ma anche nella percezione che il bambino ha del proprio mondo affettivo.
Anche se il bambino è molto piccolo, anche se ancora non parla, sente profondamente le emozioni che circolano intorno a lui.
Sentire che mamma e papà si confrontano, si ascoltano, prendono decisioni insieme sulla sua crescita, è per lui una fonte fondamentale di sicurezza interna.

Per questo motivo, prima di iniziare un percorso, è importante che entrambi i genitori siano informati, abbiano compreso gli obiettivi del lavoro e abbiano dato il loro consenso. Questo non significa che debbano partecipare a ogni incontro, ma che riconoscano il valore del percorso e si sentano parte, ciascuno nel proprio modo, del processo di cambiamento.

La tentazione di volere tutto e subito: come accettare i tempi della crescita

Quando si chiede aiuto perché il proprio bambino ha vissuto un trauma o un cambiamento difficile, la tentazione di volere tutto e subito è molto forte.
Si vorrebbe vedere il sorriso tornare sul volto del proprio figlio, il suo sguardo riempirsi di nuovo di curiosità e fiducia, la sua crescita riprendere il ritmo naturale.

Eppure, la crescita, la guarigione, la costruzione di nuove sicurezze non seguono mai una strada lineare e veloce.
Anzi, spesso il cambiamento passa attraverso fasi di apparente stallo, di piccoli miglioramenti seguiti da momenti di regressione, di conquiste sottili che si radicano nel tempo.

Un percorso di consulenza o di sostegno psicologico non offre scorciatoie. Offre invece strumenti per leggere i segnali del bambino, per interpretare i suoi bisogni, per rispondere con coerenza e pazienza.
Accettare che il cambiamento profondo richieda tempo non significa rassegnarsi. Significa avere fiducia nella capacità di crescita del proprio bambino e nella possibilità di accompagnarlo, passo dopo passo, senza ansie di prestazione.

Fidarsi del percorso, più che dei risultati immediati

In ogni percorso di sostegno genitoriale è fondamentale riuscire a fidarsi del processo, anche quando i risultati non sono immediatamente visibili.
La fiducia nel percorso si costruisce nella relazione che si crea con il terapeuta, nella coerenza degli incontri, nella continuità dell’impegno da parte del genitore.

Il cambiamento non è sempre evidente dall’esterno.
A volte si manifesta nei piccoli gesti quotidiani: in una maggiore calma durante il momento della pappa, in una capacità nuova di gestire un risveglio notturno, in un sorriso che torna ad illuminare il volto del bambino.
Altre volte, il cambiamento avviene dentro il genitore: nella capacità di tollerare il pianto senza sentirsi inadeguati, nella possibilità di godersi un momento di gioco senza l’assillo della prestazione, nella serenità ritrovata nel guardare il proprio bambino così com’è, senza idealizzazioni né paure eccessive.

Fidarsi del percorso significa credere che ogni passo, anche il più piccolo, contribuisce a costruire un legame più sicuro e profondo.

Chiedere aiuto come gesto di amore e di fiducia

Chiedere aiuto non è un segno di debolezza.
È un atto di amore verso il proprio bambino, ma anche verso se stessi.
È la scelta di non rimanere soli di fronte alla fatica, di accettare che a volte il dolore va attraversato con il sostegno di chi ha gli strumenti per accompagnarci.

Nessuna esperienza difficile è destinata a segnare irrimediabilmente il legame con il proprio figlio.
Con il giusto supporto, con pazienza, con fiducia, è possibile ritrovare la strada verso una relazione serena, fatta di sguardi che si incontrano, di emozioni condivise, di crescita reciproca.

Se senti che il tuo bambino, o tu stesso come genitore, avete bisogno di sostegno per affrontare un momento delicato, sappi che non sei solo.
Con la giusta guida, ogni ferita può diventare occasione di crescita, e ogni difficoltà può trasformarsi in una nuova possibilità di costruire sicurezza e amore.

Articolo a cura del: 
Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica

Fonti bibliografiche:

  • Bowlby, J. (1988). Una base sicura: Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore.
  • Siegel, D. J., & Hartzell, M. (2004). Il bambino consapevole. Come aiutare i nostri figli a crescere sereni. Raffaello Cortina Editore.
  • Sunderland, M. (2007). La scienza della felicità per genitori e figli. Raffaello Cortina Editore.
  • Winnicott, D. W. (1971). Gioco e realtà. Armando Editore.

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