Identikit del genitore passivo-aggressivo: sfide e soluzioni in terapia

Il genitore passivo-aggressivo rappresenta una figura complessa all’interno della dinamica familiare e terapeutica.  La passività-aggressività è una forma di comportamento in cui l’aggressività sottostante viene espressa in modo indiretto, spesso attraverso l’ostruzionismo, la procrastinazione, il sarcasmo o una mancata comunicazione. Questo tipo di atteggiamento può avere un impatto profondamente negativo sulla dinamica familiare, specialmente quando uno dei figli è coinvolto in un percorso terapeutico.

Questo tipo di genitore manifesta la propria rabbia quindi in modo indiretto e celato, tanto che all’apparenza può sembrare inattivo o neutrale. Tuttavia, sotto la superficie, si celano sentimenti di ostilità e risentimento che vengono espressi attraverso comportamenti sottili, come la procrastinazione, l’ostruzionismo e il vittimismo (Millon et al., 2004).

Un esempio emblematico di tale comportamento si può osservare già nella fase iniziale di contatto con il terapeuta. Immaginiamo un genitore preoccupato per la salute mentale del proprio figlio che decide di consultare uno psicoterapeuta. Come previsto dalla Legge, è necessario il consenso di entrambi i genitori per avviare la consulenza. Il terapeuta invia quindi i moduli da leggere, compilare e firmare. Tuttavia, il genitore passivo-aggressivo non risponde alle e-mail, nemmeno a quelle di sollecito. Questa situazione si protrae per giorni, fino a quando l’altro genitore, inizialmente comprensivo, perde la pazienza e reagisce con rabbia. A questo punto, il genitore passivo-aggressivo assume il ruolo di vittima, mostrandosi colpito dalla reazione dell’altro e manipolando la situazione a proprio vantaggio. L’altro genitore, sentendosi in colpa per la propria esplosione, decide di non procedere con la consulenza, ottenendo così il risultato desiderato dal genitore passivo-aggressivo senza che quest’ultimo abbia mai espresso direttamente il proprio disaccordo (Bowen, 1978).

Questo scenario illustra chiaramente come il comportamento passivo-aggressivo funzioni: anziché comunicare in modo diretto e assertivo il proprio disaccordo, il genitore utilizza la procrastinazione e altre tattiche indirette per creare tensione e disarmare l’altro. Inevitabilmente, l’irritazione accumulata dall’altro genitore (spesso anche dal terapeuta) può sfociare in una reazione rabbiosa, che il genitore passivo-aggressivo sfrutta per invertire i ruoli, presentandosi come la vittima e giustificando così la propria inattività (Millon et al., 2004). Ad esempio dirà all’altro genitore: “Vedi, parlaci tu con lui (il terapeuta) io non ci voglio avere niente a che fare!”. 

Secondo studi psicologici, questo tipo di comportamento può derivare da modelli di attaccamento disfunzionali durante l’infanzia, dove l’espressione diretta delle emozioni era scoraggiata o punita (Bowen, 1978). Inoltre, la passività aggressiva è spesso legata a una bassa autostima e a una difficoltà nell’affrontare i conflitti in modo costruttivo (Millon et al., 2004). Il risultato è una dinamica in cui il genitore passivo-aggressivo riesce a controllare la situazione senza mai esporsi apertamente, lasciando agli altri il ruolo del “cattivo” nella narrazione familiare.

Cosa è successo in questo scenario? Invece di esprimere direttamente il suo disaccordo riguardo all’inizio delle consulenze per il figlio, il genitore passivo-aggressivo ricorre alla procrastinazione, un classico comportamento passivo-aggressivo. Le ragioni dietro questo atteggiamento possono variare: potrebbe essere motivato da rabbia nei confronti dell’altro genitore per qualche motivo specifico, oppure semplicemente non ritiene opportuno portare il figlio dal terapeuta. In ogni caso, piuttosto che esprimere in modo diretto e assertivo i propri pensieri, sceglie di utilizzare la procrastinazione come strumento per creare frustrazione nell’altro genitore.

Questa frustrazione, accumulata giorno dopo giorno dall’altro genotore, si trasforma in rabbia. Quando questa rabbia esplode in modo aggressivo, il genitore passivo-aggressivo sfrutta la situazione per ottenere ciò che vuole: infatti, dal suo punto di vista, “non ha fatto nulla di sbagliato”, “è la vittima”. Sono gli altri che, reagendo con rabbia, diventano i “cattivi”. Così, il genitore passivo-aggressivo riesce a mantenere la propria immagine di persona innocente e ragionevole, mentre l’altro genitore (o il terapeuta) appare come colui che ha reagito in modo eccessivo e inappropriato.

comportamenti dei passivi-aggressivi

La rabbia del genitore passivo-aggressivo non si manifesta in modo diretto e visibile, ma si esprime attraverso modalità subdole e indirette. Questo porta a comportamenti ambigui e confusi che possono creare disagio, ma che spesso sono difficili da individuare e affrontare. Di seguito sono elencati i principali comportamenti passivo-aggressivi:

  • Il silenzio punitivo: il genitore passivo-aggressivo smette di parlare o rispondere ai messaggi, utilizzando il silenzio come strumento per punire e far sentire in colpa l’altro, anziché affrontare apertamente il problema.
  • Insulti sottili (frecciatine): anche se siamo generalmente in grado di riconoscere un insulto diretto, gli insulti passivo-aggressivi sono spesso più difficili da individuare. Questi possono consistere in riferimenti velati ai punti deboli dell’altro, come un collega che fa continuamente riferimento alla sua laurea per sminuire implicitamente il valore dell’interlocutore.
  • Tenere il broncio: il genitore passivo-aggressivo manifesta il proprio disappunto e risentimento attraverso un atteggiamento di chiusura e malumore, senza mai esplicitare le ragioni del proprio disagio.
  • Procrastinare di proposito: questo genitore può apparentemente accettare e condividere la necessità di un aiuto terapeutico per il figlio, firmando il consenso informato e ribadendo il proprio impegno in seduta. Tuttavia, non porta mai a termine ciò che ha promesso, utilizzando scuse come “lo faccio dopo” o “domani”, ma non agendo mai. Questa procrastinazione intenzionale è spesso una forma di vendetta passiva nei confronti dell’altro genitore, dovuta a un senso (consapevole o meno) di non dover nulla all’altro.
  • Tenere il conto: in situazioni normali, quando un figlio sta male, i genitori si aiutano a vicenda. Tuttavia, il genitore passivo-aggressivo tiene un conto preciso di tutti i favori fatti, aspettandosi di ricevere altrettanto in cambio. Lo stesso atteggiamento si applica alle mancanze dell’altro: se un orario non è di suo gradimento, pur accettandolo, il genitore passivo-aggressivo può non presentarsi all’appuntamento come forma di ripicca.
  • Contraddizioni tra parole e azioni: il genitore passivo-aggressivo può affermare di essere d’accordo ad aiutare il figlio, ma il suo linguaggio non verbale (come una smorfia del viso o un tono di voce disinteressato) tradisce il suo reale malessere e vittimismo, creando confusione nell’interlocutore.
  • Mettere i bastoni tra le ruote: il genitore passivo-aggressivo sabota attivamente, ma in modo sottile, i tentativi dell’altro di risolvere i problemi o di migliorare la situazione, rendendo difficile il raggiungimento degli obiettivi.
  • Negare la propria ostilità: anche di fronte all’evidenza, il genitore passivo-aggressivo negherà di essere ostile, rifiutando di riconoscere i propri comportamenti dannosi e perpetuando così il ciclo di frustrazione e incomprensione.
  • Mancanza di comunicazione: evita conversazioni importanti o le minimizza, lasciando che l’ambiguità e la confusione dominino l’interazione.
  • Ostruzionismo: il genitore può apparentemente supportare il figlio o il terapeuta, ma nei fatti ostacola il processo terapeutico attraverso ritardi, disinteresse o mancanza di collaborazione.
  • Procrastinazione: si impegna a svolgere determinate azioni, come portare il figlio agli appuntamenti o seguire le indicazioni terapeutiche, ma poi ritarda continuamente queste attività.
  • Sarcasmo e critiche velate: comunica il proprio disappunto o disaccordo attraverso battute sarcastiche o commenti indiretti, piuttosto che affrontare direttamente il problema.
  • Vittimismo: spesso si presenta come una vittima delle circostanze o degli altri, cercando simpatia e giustificazioni per il proprio comportamento.

Caratteristiche specifiche del genitore passivo-aggressivE in terapia

I comportamenti passivo-aggressivi di un genitore in seduta possono manifestarsi in molteplici modi, rendendo il processo terapeutico particolarmente complesso. Questi comportamenti sono spesso sottili, ma possono avere un impatto significativo sulla qualità e sull’efficacia del trattamento. 

Ecco alcuni esempi tipici di come un genitore passivo-aggressivo può agire durante le sessioni:

  • “Dimenticare” l’appuntamento: questo è un comportamento frequente, specialmente nei casi di genitori divorziati. Mentre uno dei genitori arriva puntuale con il bambino, l’altro potrebbe non presentarsi affatto, senza alcun preavviso.
  • Arrivare puntualmente in ritardo: che si tratti di un incontro di persona o di una videochiamata, il genitore passivo-aggressivo tende a collegarsi o a presentarsi in ritardo, compromettendo l’andamento della seduta.
  • Tardare il pagamento delle sedute: spesso, se deve pagare lui/lei,  ritarda il pagamento, specialmente se effettuato tramite bonifico, come ulteriore forma di sabotaggio passivo.
  • Screditare il terapeuta: utilizza frecciatine e commenti provocatori per mettere in dubbio la competenza del terapeuta.
  • Fare la vittima: dopo aver lanciato accuse o provocato l’altro, quando quest’ultimo reagisce, il genitore passivo-aggressivo si presenta come la vittima innocente: “Io non ho fatto niente di male, ha fatto tutto l’altro.”
  • Squalificare il terapeuta: poiché il terapeuta rappresenta una figura di autorità, il genitore passivo-aggressivo cerca di minarne l’autorevolezza con commenti denigratori.
  • Non presentarsi all’incontro conclusivo: dopo aver mostrato collaborazione durante i primi incontri, può decidere di non partecipare all’incontro finale delle consulenze, in cui viene fatta la restituzione di quanto emerso, basilare per la sintesi delle informazioni emerse e per pianificare il trattamento del minore.
  • Minimizzare il problema del figlio: tende a sminuire la gravità dei problemi del figlio, rendendo difficile affrontarli adeguatamente in terapia.
  • Screditare l’altro genitore: spesso cerca di mettere in cattiva luce l’altro genitore, utilizzando il terapeuta come strumento di manipolazione.
  • Essere emotivamente distante: questo comportamento è particolarmente comune tra i padri passivo-aggressivi, che si mostrano freddi e distaccati nei confronti dei figli.
  • Non rispondere ai messaggi o alle email: ignora o risponde in ritardo alle comunicazioni del terapeuta, complicando la gestione del trattamento.
  • Inviare aggiornamenti all’ultimo minuto: gli aggiornamenti settimanali, cruciali per il percorso terapeutico del minore, vengono inviati all’ultimo momento, spesso pochi minuti prima dell’inizio della seduta.
  • Ignorare le telefonate del terapeuta: non risponde alle chiamate, creando ulteriori ostacoli nella comunicazione.
  • Accampare scuse: trova scuse di ogni genere per giustificare il proprio comportamento o la propria mancanza di impegno, ma non entra mai nei particolari, sono scuse vaghe e poco argomentare (non sente mai di doversi giustificare o fornire spiegazioni anche quando queste sarebbero doverose).
  • Non scusarsi mai: anche quando è evidente che ha commesso un errore o ha causato un problema, il genitore passivo-aggressivo evita di scusarsi, mostrando una totale mancanza di responsabilità e di rispetto per il prossimo (tipico del manipolatore o del soggetto con tratti di anti-socialità). 
  • Evitare di discutere il proprio comportamento: il genitore passivo-aggressivo tende a evitare qualsiasi discussione che riguardi il proprio comportamento, rifiutando di affrontare i propri atteggiamenti disfunzionali anche quando questi rappresentano la radice del problema legato alla sintomatologia del minore.
  • Negare il proprio ruolo nelle problematiche del figlio: nonostante l’evidenza del proprio contributo alle difficoltà del figlio, il genitore passivo-aggressivo nega qualsiasi responsabilità, spostando la colpa su altri.
  • Rifiutare di mettersi in discussione: non accetta di essere criticato o di dover cambiare atteggiamento, mostrando una totale resistenza al coinvolgimento nel trattamento.
  • Sentirsi ingiustamente giudicato: anche quando è chiaro che ha infranto accordi, si percepisce come vittima di un trattamento ingiusto.
  • Arrivare in anticipo senza preavviso: nonostante sia stato informato più volte di arrivare puntuale per non disturbare le altre terapie in corso, citofona o si presenta in anticipo, mostrando scarso rispetto per le regole del setting terapeutico.
  • Lanciare accuse infondate: fa commenti critici e lancia accuse per poi ritrattare, sostenendo che non intendeva realmente accusare, dimostrando il classico comportamento del “lanciare il sasso e nascondere la mano.”
  • Resistenza al trattamento: coinvolgere questi genitori nel trattamento è spesso molto difficile, se non impossibile, a causa della loro costante resistenza, imprevedibilità e disimpegno mostrato sin da subito.
  • Insistere sui costi: continua a fare riferimento ai costi della terapia, considerandoli una spesa inutile anziché un investimento nella salute del proprio figlio.
  • Svalutare la terapia: espressa con battutine o frecciatine, spesso considera la terapia una perdita di tempo.
  • Accusare il terapeuta di superiorità: anche quando il terapeuta mantiene un atteggiamento professionale e rispettoso, viene accusato di avere un atteggiamento di superiorità.
  • Sfidare il setting terapeutico: con modalità sottili e subdole, il genitore passivo-aggressivo fa la guerra al setting e al terapeuta, cercando di minare il processo terapeutico e la costruzione dell’alleanza terapeutica.
  • Minacciare di abbandonare la seduta: minaccia di lasciare la seduta se le cose non vanno come desidera, come ad esempio evitare di discutere delle proprie mancanze in sedute precedenti.
  • Svalutare l’incontro: arriva in ritardo e sottolinea di avere un impegno imminente, dimostrando scarso interesse e rispetto per il tempo e lo scopo del colloquio (“Io pensavo durasse una mezz’oretta”, quando era già stato informato della durata e dell’importanza dell’incontro).
  • Svalutare il terapeuta: commenti come “Non me ne frega un ca**o se ha tre o quattro lauree” o “Sappiamo già dei suoi titoli” sono espressioni di squalifica che mirano a minare l’autorità del terapeuta fin dall’inizio.
  • Dare del “tu” al terapeuta: il genitore passivo-aggressivo spesso tende a rivolgersi al terapeuta con un informale “tu”, un comportamento che segnala una mancanza di rispetto per l’autorità. Questo gesto non è solo una questione di formalità, ma rappresenta un tentativo di negare l’asimmetria naturale della relazione terapeutica, in cui uno chiede aiuto e l’altro lo fornisce. Utilizzando il “tu”, il genitore comunica implicitamente: “Io e te siamo allo stesso livello,” cercando di minimizzare la competenza del terapeuta e di affermare una falsa parità, che può ostacolare il processo terapeutico e sottolineare la sua resistenza a lasciarsi aiutare. Dettato più dal suo tentativo di controllare e manipolare il setting che non dal bisogno di sentire più vicino il terapeuta (come può accadere con altri tipi di pazienti). 
  • Mancanza di motivazione: la mancanza di motivazione è un segnale preoccupante che rende difficile stabilire una base di partenza solida per il trattamento. Senza una motivazione autentica, il genitore passivo-aggressivo non sarà disposto a lavorare su obiettivi condivisi, rendendo il percorso terapeutico inefficace. Questa assenza di impegno non solo compromette il progresso della terapia, ma può anche perpetuare il ciclo di comportamento disfunzionale, ostacolando il benessere del minore.

A seconda che il genitore passivo-aggressivo sia la madre o il padre, si possono osservare sfumature diverse nei comportamenti, ma l’elenco sopra riportato rappresenta una gamma comune, sebbene non esaustiva, delle modalità, spesso molto creative, con cui questo tipo di genitore cerca di sfidare il terapeuta o l’altro genitore. Attraverso queste azioni, esprime la propria rabbia e contrarietà in modo indiretto e subdolo.

Quasi sempre, un genitore che adotta questi atteggiamenti manifesta un quadro psicopatologico significativo, spesso associato a un disturbo di personalità passivo-aggressivo (come verrà spiegato più avanti in questo articolo). Questo genitore tende a non assumersi le proprie responsabilità genitoriali [Capacità genitoriale e responsabilità genitoriale: relazioni disfunzionali e disturbi del comportamento], oppure a evitare del tutto di farlo. Di solito, è una persona bloccata in una fase di sviluppo in cui non è riuscita a svincolarsi completamente dalla propria famiglia di origine (Bowen, 1978). Di conseguenza, si comporta ancora come un figlio — irresponsabile, disimpegnato e assente— piuttosto che come un genitore responsabile.

È evidente che questo tipo di genitori sebbene a parole dicano il contrario, con i fatti – “le azioni parlanti” –  dimostrano un  comportamento che sembra muoversi in direzione opposta all’intenzione di aiutare veramente il proprio  figlio, il quale manifesta il suo disagio e la sua sofferenza attraverso sintomi esternalizzanti o internalizzanti. Spesso questo tipo di comportamento del genitore costituisce quantomeno un fattore di mantenimento del sintomo e altrettanto spesso, all’interno di queste famiglie, sono presenti anche dinamiche relazionali disfunzionali, all’interno delle quali i figli vengono strumentalizzati e “usati” contro l’altro genitore, il tutto senza un minimo di attenzione e riguardo verso i bisogni del minore. Le dinamiche passivo-aggressive possono anche nascondere traumi familiari, come una gravidanza non voluta o non desiderata, portata avanti dall’altro genitore senza mai ricevere un vero sostegno, o dispute familiari riguardanti la stessa gravidanza.

Il genitore con un’organizzazione di personalità passivo-aggressiva non è legato a un ceto sociale specifico, poiché questo tipo di comportamento può manifestarsi in qualsiasi condizione socio-economica. Tuttavia, un aspetto positivo nel trattare un genitore passivo-aggressivo appartenente a un ceto socio-economico più elevato è la possibilità di avere a che fare con un livello di funzionamento meta-cognitivo leggermente più sviluppato. Questo può rendere alcune tecniche terapeutiche più efficaci nel gestire questo tipo di genitore, che si comporta quasi come un paziente psichiatrico non trattato.

In altri contesti, dove mancano strategie di coping e meta-cognitive evolute, un genitore passivo-aggressivo appartenente a un ceto socio-culturale inferiore potrebbe manifestare comportamenti più aggressivi e meno sottili, con attacchi indiretti ma più “rozzi”. In questi casi, è fondamentale che il terapeuta mantenga la massima prudenza, poiché alcuni di questi soggetti potrebbero essere inclini alla violenza.

È sempre consigliato operare nel pieno rispetto delle regole del setting terapeutico e considerare, con il consenso delle parti coinvolte, la registrazione delle sedute (sia audio che video) per una maggiore efficacia clinica e tutela. I genitori passivo-aggressivi, infatti, sono spesso abili nel rinnegare quanto detto o fatto, specialmente quando agiscono con intenzioni manipolatorie.

Breve accenno astili comunicativi:

Gli stili di comunicazione sono fondamentali per comprendere le dinamiche interpersonali e il modo in cui le persone interagiscono tra loro. 

Esistono tre principali stili di comunicazione: passivo, aggressivo e assertivo.

Lo stile passivo si caratterizza per l’incapacità di esprimere apertamente i propri bisogni e desideri, spesso sacrificando i propri diritti a favore degli altri. Questo comportamento può portare a sentimenti di frustrazione e risentimento. 

Lo stile aggressivo, al contrario, si manifesta con l’affermazione dei propri bisogni in modo prepotente e talvolta offensivo, spesso a scapito dei diritti altrui. Questo approccio può creare conflitti e ostilità. 

Infine, lo stile assertivo rappresenta un equilibrio tra i due estremi: implica l’espressione chiara e diretta dei propri bisogni e desideri, rispettando al contempo i diritti e le opinioni degli altri. Questo stile è considerato il più efficace per promuovere relazioni sane e costruttive. 

Il passivo-aggressivo è una combinazione di questi due (Alberti & Emmons, 2008).

Perché un genitore diventa  passivo-aggressivo? 

Iniziamo col dire che esistono genitori che, senza intenzione, non hanno sviluppato l’assertività, ovvero la capacità di esprimere i propri pensieri e bisogni in modo diretto, rispettando al contempo i diritti degli altri. Questi genitori, incapaci di comunicare efficacemente, tendono a evitare conflitti e a non esprimere chiaramente le proprie emozioni, finendo spesso per non far valere le proprie necessità.

Dall’altra parte, vi sono i genitori passivo-aggressivi che agiscono deliberatamente in modo manipolatorio. Queste persone, pur avendo la capacità di essere assertive, scelgono consapevolmente di utilizzare comportamenti passivo-aggressivi per ferire e controllare gli altri senza esporsi apertamente, sfruttando la propria ambiguità per manipolare situazioni e persone.

La definizione del DSM, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, costituisce il punto di partenza fondamentale per la presente analisi:

A. Un quadro pervasivo di atteggiamenti negativi e di resistenza passiva verso richieste di prestazioni ragionevoli, che si instaura nella prima età adulta e che si manifesta in una varietà di contesti, come indicato da quattro (o più) dei seguenti criteri:

  1. Resiste passivamente alla soddisfazione delle richieste riguardanti i compiti;
  2. Si lamenta perché incompresa e non apprezzato dagli altri;
  3. E astioso e polemico;
  4. Critica e deride l’autorità in modo irragionevole;
  5. Esprime invidia e risentimento verso le persone apparentemente più fortunate;
  6. Si lamenta in maniera persistente ed ed esagerata della sfortuna personale;
  7. Si alterna tra sfida ostile e pentimento. 

B. Non si presenta esclusivamente nel corso di un episodio depressivo principale e non è spiegato meglio da un Disturbo Distimico. 

Le versioni precedenti del DSM parlano di uno stile pervasivo di resistenza passiva alle richieste di un’adeguata prestazione sociale e professionale, a partire dall’inizio dell’età adulta, presente in una verità di contesti, come indicato da almeno cinque dei seguenti criteri:

  1. Procrastinazioni, sia mette da parte i compiti da svolgere, tanto che non non vengono rispettate le scadenze.
  2. Diventa scontroso, irritabile o polemico, quando gli si chiede chiede di fare qualcosa che non vuole fare.
  3. Sembra che lavori deliberatamente con lentezza o male nei compiti, che in realtà non vuole fare.
  4. Protesta, senza giustificazione, che gli altri gli fanno richieste irragionevoli.
  5. Evita gli obblighi, dichiarando di “essersi dimenticato”
  6. Ritiene di fare un lavoro molto molto meglio di quanto pensino gli altri.
  7. Si risente per i suggerimenti utili degli altri relativi a come potrebbe essere più produttivo.
  8. Fa ostruzionismo contro gli sforzi degli altri, evitando di fare la propria parte di lavoro.
  9. Critica o o disdegna irragionevolmente le persone in posizione di autorità (terapeuta in primis!!). 

L’ipotesi patogena secondo Lorna Smith Benjamin (2013) identifica tre caratteristiche principali della storia evolutiva per spiegare i sintomi del disturbo passivo-aggressivo di personalità (PAG):

  1. Un inizio promettente seguito da delusioni: il ciclo evolutivo del PAG spesso inizia con un’infanzia caratterizzata da un accudimento attento e affettuoso, che fonda la fiducia nelle figure di cura. Tuttavia, questo inizio positivo porta il PAG ad aspettarsi sostegno e conforto in ogni momento. Quando queste aspettative non vengono soddisfatte, il PAG si sente profondamente deluso e risentito. Questa delusione porta a percepire ogni forma di potere come insensibile e trascurante, con la convinzione che le autorità siano incompetenti, ingiuste e crudeli. Il PAG obbedisce apparentemente alle richieste, ma fallisce intenzionalmente nell’esecuzione, lamentandosi di essere trattato ingiustamente e provando risentimento verso coloro che sembrano essere trattati meglio. Questo atteggiamento riflette una paura radicata del controllo e un desiderio di ritornare a un’epoca di cure amorevoli.
  2. Una brusca interruzione delle cure iniziali: l’infanzia del PAG, inizialmente caratterizzata da un’accudimento esemplare, viene improvvisamente interrotta da richieste ingiuste di prestazione. Un esempio tipico è quello di un primogenito che, con la nascita di un fratellino, si trova a dover fare a meno delle attenzioni che riceveva e a dover assumere nuove responsabilità. Queste nuove richieste sostituiscono il conforto precedente, risultando esigenti, eccessive e ignorando i bisogni legittimi del PAG. L’improvvisa perdita delle cure e il trattamento differenziale rispetto ai fratelli alimentano un profondo risentimento. Nell’adulto, questo si traduce in una suscettibilità estrema verso il potere e l’autorità, percependo il terapeuta o chi si prende cura di lui come crudele, esigente e ingiusto.
  3. Punizioni severe per l’espressione della rabbia: durante l’infanzia, il PAG sperimenta punizioni molto dure per qualsiasi espressione di rabbia, il che lo porta a sviluppare modalità indirette per manifestare la propria frustrazione da adulto. L’ostilità del PAG è spesso mascherata da una facciata di compiacenza, ma questa maschera nasconde modalità sottili di provocazione. Ad esempio, il PAG potrebbe procrastinare intenzionalmente o svolgere compiti in modo volutamente imperfetto. Questo comportamento si estende anche in ambito terapeutico, dove il PAG tende a pagare in ritardo o a non pagare affatto, usando la provocazione-compiacenza come strategia per gestire la propria rabbia. La mancanza di una reale autonomia e la repressione della rabbia finiscono per avere conseguenze masochistiche, con il PAG che si trova intrappolato in una spirale di insoddisfazione e risentimento.

In sintesi, le richieste crudeli e trascuranti dei genitori durante l’infanzia del PAG portano a una predisposizione alla polemica e all’irritabilità quando gli viene chiesto di fare qualcosa. Questa storia di richieste irragionevoli e punizioni dure per la disobbedienza o l’espressione di rabbia genera una tendenza a esprimere la propria frustrazione in modo indiretto. Nel contesto terapeutico, la sfida maggiore è sviluppare una relazione collaborativa, poiché i modelli di transfer del PAG possono essere di natura provocatoria. Un terapeuta consapevole di queste dinamiche può evitare di sentirsi personalmente attaccato e resistere alla tentazione di punire il paziente, che spesso si aspetta di essere danneggiato da una figura di autorità percepita come negligente e crudele.

Effetti del genitore passivo-aggressivo sul figlio

Il genitore passivo-aggressivo rappresenta un pericolo significativo per il figlio, non solo per gli effetti immediati del comportamento, ma anche per le implicazioni a lungo termine. I figli di genitori passivo-aggressivi sono esposti a un modello di comunicazione disfunzionale, in cui la rabbia e il disagio vengono espressi in modo indiretto, tramite comportamenti manipolatori piuttosto che attraverso un dialogo aperto e onesto. Sono anche presenti situazioni potenzialmente traumatiche: il genitore fa la guerra implicita all’altro utilizzando il figlio e strumentalizzandolo. Spesso “dimentica”, si fa per dire, eventi e ricorrenze del figlio. Lo espone a continue delusioni, intaccando lo stile di attaccamento del figlio. 

Questo stile comunicativo distorto può portare il bambino a interiorizzare strategie di coping inadeguate, come la tendenza a evitare i conflitti diretti o a manipolare gli altri per raggiungere i propri obiettivi (questo questi ragazzini mentono, rubano, dicono bugie, “non ricordano”, negano l’evidenza, sono a loro volta passivi-aggressivi). Inoltre, esiste un alto rischio di trasmissione intergenerazionale di questi modelli comportamentali. Il figlio, osservando e imitandoli, può crescere sviluppando la stessa modalità passivo-aggressiva di interazione, perpetuando così un ciclo disfunzionale che può estendersi alle generazioni successive. Questo non solo compromette le relazioni future del bambino, ma può anche contribuire a un più ampio spettro di disturbi emotivi e comportamentali.

Come può interagire il terapeuta o l’altro genitore con il passivo-aggressivo?

Le relazioni con un genitore passivo-aggressivo, sia che si tratti di un ex coniuge o di un compagno attuale, possono diventare nel tempo estremamente distruttive e disfunzionali. Chi si trova a dover interagire con una persona con questo tipo di comportamento sa quanto possa essere difficile gestire la situazione. Tuttavia, esistono alcune strategie fondamentali che possono essere utili per affrontare e mitigare gli effetti del comportamento passivo-aggressivo.

Strategie di sopravvivenza per l’altro genitore (e per il terapeuta)

Se ti trovi a dover convivere o interagire con un genitore passivo-aggressivo, ecco tre strategie chiave che possono aiutarti a gestire meglio la situazione:

  1. Smettere di cedere ai loro capricci: quando il genitore passivo-aggressivo mette il broncio, smette di parlare, o compie piccoli atti “accidentali” come pestarti il piede, è importante riconoscere questi comportamenti come tentativi di manipolazione. Anche se la tentazione di cedere per farli smettere è forte, farlo rafforza solo i loro comportamenti inaccettabili. È fondamentale riconoscere il comportamento per quello che è, ad esempio “questo è un silenzio punitivo”, e non premiarlo. Invece, è importante fare sempre ciò che ritieni giusto, e aspettarsi che il genitore passivo-aggressivo impari a comunicare in modo diretto se ha qualcosa da chiederti.
  2. Evitare di infuriarsi con loro: quando reagisci con rabbia, offri al genitore passivo-aggressivo l’opportunità di assumere il ruolo della vittima, un ruolo che amano interpretare. La loro strategia è spesso quella di esasperare l’interlocutore fino a farlo esplodere, in modo da poter poi accusarlo di essere il bullo della situazione. In queste circostanze, cercare di “fare guerra” a un passivo-aggressivo è inutile e dannoso. È meglio mantenere la calma e non lasciarsi trascinare nel loro gioco.
  3. Utilizzare una comunicazione assertiva: una delle strategie più efficaci è quella di fare ciò che loro non riescono a fare: comunicare in modo assertivo. Questo significa esprimere con calma ciò che pensi e ricordare i tuoi diritti assertivi, come il diritto di dire “no” senza sensi di colpa o il diritto di cambiare idea. Essere assertivi ti permette di stabilire confini chiari e di mantenere il controllo della situazione.

Tecniche assertive:

  1. Messaggi in prima persona: evita di dire agli altri cosa pensano o sentono, come “tu non mi ascolti” o “tu pensi questo”. Invece, utilizza messaggi che parlino di te, come “mi sento in difficoltà quando ti comporti così [descrivere il comportamento], perché non mi sento ascoltato”. Questo tipo di comunicazione aiuta a esprimere i tuoi sentimenti senza accusare l’altro, promuovendo un dialogo più costruttivo.
  2. Disco rotto: questa tecnica consiste nel ripetere con fermezza e calma la tua posizione, utilizzando le stesse parole o frasi simili. È particolarmente utile quando ci si trova di fronte a una persona insistente. Ad esempio, se il genitore passivo-aggressivo cerca di evitare una discussione importante, insisti nel ricordare l’importanza di affrontare la questione, mantenendo la tua posizione senza cedere alla manipolazione.
  3. Annebbiamento: questa tecnica è utile quando il genitore passivo-aggressivo fa una critica. Consiste nell’ammettere ciò che è vero nella critica, mantenendo comunque il controllo della conversazione. Ad esempio, se il genitore critica qualcosa in modo aggressivo, puoi rispondere con “sì, capisco il suo punto di vista, e penso che possiamo migliorare su questo aspetto”. Questo spiazza l’interlocutore, che si aspetta una reazione difensiva, e ti permette di mantenere la calma e il controllo della situazione.

Essere assertivi può sembrare difficile all’inizio, ma è una strategia che ripaga a lungo termine, portando a relazioni più sane e a una maggiore serenità.

Riassumendo, quando ci si trova di fronte a un genitore passivo-aggressivo, sia che tu sia un terapeuta o l’altro genitore, è importante tenere a mente alcuni principi chiave:

  1. Ignorare i tentativi di manipolazione: non cedere ai loro tentativi di farti arrendere, così da non rinforzare i loro comportamenti disfunzionali.
  2. Evitare reazioni aggressive: non reagire in modo aggressivo, poiché questo permetterebbe loro di dipingerti come il “bullo” della situazione.
  3. Praticare e promuovere l’assertività: oltre a migliorare il tuo benessere, la tua assertività può servire come modello per il genitore passivo-aggressivo, offrendo un esempio concreto di un modo più sano di relazionarsi.

Ricordasi, tuttavia, che il proprio compito non è insegnare l’assertività al genitore passivo-aggressivo. La priorità è garantire la sicurezza del setting terapeutico e il benessere sia del terapeuta che, soprattutto, del minore che potrebbe essere preso in carico.

Consigli per il genitore passivo-aggressivo

Se ci si riconosce nei comportamenti passivo-aggressivi, è importante sapere che esistono strumenti e percorsi che possono aiutare a migliorare le relazioni e il benessere personale. Un primo passo fondamentale è intraprendere un percorso di psicoterapia. La terapia può offrire uno spazio sicuro per esplorare le radici del proprio comportamento, comprendere le dinamiche che lo alimentano e lavorare su modalità più costruttive di esprimere le proprie emozioni.

Un altro strumento utile è il training di comunicazione assertiva. Questo tipo di formazione aiuta a sviluppare la capacità di esprimere i propri bisogni e sentimenti in modo diretto e rispettoso, senza ricorrere a comportamenti passivi o aggressivi. L’assertività non solo migliora la capacità di relazionarsi con gli altri, ma permette anche di sentirsi più in controllo delle proprie interazioni e di ridurre il conflitto nelle proprie relazioni.

Iniziare questi percorsi richiede impegno e disponibilità al cambiamento, ma i benefici possono essere profondi e duraturi, portando a relazioni più sane e soddisfacenti, sia con i propri figli che con gli altri.

Cosa può fare l’altro genitore: tutela legale e suggerimenti pratici

Quando la gravità della situazione richiede un intervento urgente sul minore, che non può più essere procrastinato, o quando la psicoterapia diventa essenziale per il sano sviluppo del bambino, ma il genitore passivo-aggressivo si rifiuta di partecipare o collaborare, ci sono comunque delle strade da percorrere. Se il genitore passivo-aggressivo ha comunque dato il consenso iniziale alla terapia, è fondamentale procedere nonostante le difficoltà aggiuntive che si presenteranno. È possibile che questo genitore proponga di cambiare terapeuta, e sebbene in alcuni casi ciò possa essere utile, spesso si tratta solo di un’altra tattica per ritardare ulteriormente l’inizio del trattamento, poiché le stesse dinamiche si ripresenteranno anche con un altro professionista.

Ma cosa succede se il genitore passivo-aggressivo non dà il consenso o lo ritira? In questo caso, è importante sapere che le leggi italiane sulla tutela dei minori sono tra le più solide in Europa. In Italia, l’altro genitore può richiedere l’intervento del giudice tutelare per garantire il diritto del minore alle cure necessarie (art. 316 c.c.; art. 337-ter c.c.). Il giudice, valutando la situazione, può avviare un procedimento che consenta al minore di ricevere le cure dovute, anche senza il consenso del genitore passivo-aggressivo.

Questi provvedimenti non solo assicurano che il minore riceva l’assistenza necessaria, ma possono anche rivelarsi una risorsa per rivedere altre questioni legali legate alla co-responsabilità genitoriale. Ad esempio, il giudice può imporre al genitore reticente di contribuire economicamente al trattamento, e in alcuni casi, questo può aprire la strada per richiedere l’affido super esclusivo del minore, che attribuisce al genitore affidatario una maggiore autonomia decisionale (art. 337-quater c.c.).

Prima di arrivare a un intervento legale, sarebbe sempre preferibile tentare il dialogo e una collaborazione aperta tra le parti. Tuttavia, quando si ha a che fare con un genitore affetto da un disturbo di personalità, che per definizione è egosintonico (la persona non riconosce di avere un problema e lo considera come un proprio comportamento normale), l’intervento del giudice tutelare può diventare l’unica opzione praticabile.

In questi casi, è indispensabile per l’altro genitore affidarsi a un avvocato esperto, specializzato in diritto di famiglia, e raccogliere tutte le prove necessarie per supportare la richiesta (ad esempio, relazioni scritte da professionisti che hanno valutato il figlio). Spesso i genitori passivo-aggressivi vedono anche l’intervento legale come una perdita di tempo o una spesa inutile, ma perseverare nella ricerca di un accordo è essenziale per la tutela del minore e per ristabilire una co-genitorialità responsabile.

In casi particolari, mentre si attende la decisione del tribunale, il genitore che desidera ricevere supporto può iniziare un percorso di accompagnamento sulla genitorialità. Poiché questo tipo di lavoro è centrato esclusivamente su di lui come adulto, e non sul minore, non sarà necessario ottenere il consenso dell’altro genitore. È importante sottolineare che, in questo contesto, il terapeuta non potrà convocare il minore in seduta né osservare l’interazione tra genitore e figlio. Questo tipo di intervento si focalizza unicamente sul miglioramento delle competenze genitoriali dell’adulto, in attesa che si chiariscano le questioni legali riguardanti il minore.

In conclusione, un bravo terapeuta, pur rispettando i limiti etici e professionali, farà il possibile per coinvolgere il genitore passivo-aggressivo fin dai primi incontri di terapia. Tuttavia, non sempre questo sforzo porta a una partecipazione attiva del genitore in seduta. In tali casi, diventa indispensabile concentrare il lavoro terapeutico sui membri della famiglia che sono disponibili e motivati a partecipare al trattamento, incluso ovviamente il minore, soprattutto se ha espresso il desiderio di essere aiutato. Questo è particolarmente importante nel caso degli adolescenti, la cui volontà e impegno nel percorso terapeutico possono essere determinanti per il successo dell’intervento.

Articolo curato da:

Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica

Bibliografia:

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  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). American Psychiatric Publishing.
  • Benjamin, L. S. (1996). Interpersonal Diagnosis and Treatment of Personality Disorders. The Guilford Press.
  • Bowen, M. (1978). Family Therapy in Clinical Practice. Jason Aronson.
  • Millon, T., Grossman, S., Meagher, S., Millon, C., & Everly, G. S. (2004). Personality Disorders in Modern Life. John Wiley & Sons.

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