Molti autori si sono interrogati sulla capacità di materntage dei padri, ossia sul loro saper rispondere ai bisogni del bambino in modo altrettanto sensibile delle madri.
Nelle scimmie reso (che insieme al concetto di imprinting di Konrad Lonrenz hanno ispirato il pensiero teorico di Bowlby) sono state osservate delle manifestazioni affettive da parte dei maschi adulti nei confronti dei piccoli scimmiotti (Harlow, 1963).
Lamb (1996) fa riferimento a una serie di studi da cui emerge che uno degli aspetti centrali è quello di prendere in esame la “sensibilità paterna”. Questi studi portano alla conclusione che sul piano biologico non esiste alcuna differenza tra maschi e femmine nel modo di reagire nei confronti di un neonato.
Altri studi come quelli condotti con Frodi (Frodi, Lamb, Leavitt, Donovan, 1978a; Frodi, Lamb, Leavitt, Donovan, Neff, Sherry, 1978b), non riscontrano alcuna differenza nelle modalità di reazioni psicofisiologiche di padri e madri (ritmo cardiaco, pressione arteriosa, risposta elettrodermica), di fronte a un filmato che presenta bambini molto piccoli calmi, che stanno per iniziare a sorridere o a piangere.
Un altro esperimento simile condotto con bambini dagli 8 ai 14 mesi (Frodi, Lamb, 1978) rivela ancora una volta che non vi è alcuna differenza tra maschi e femmine rispetto alle reazioni psicofisiologiche davanti a un bebè. Tuttavia, si nota che nel momento in cui gli sperimentatori mettono i soggetti in una sala d’attesa dove si trovano una madre con il suo bebè, le adolescenti reagiscono alla presenza del neonato in maniera molto più evidente, soprattutto a livello comportamentale, rispetto ai coetanei maschi. Secondo gli autori questa differenza che si osserva nel comportamento, ma non nelle reazioni psicofisiologiche, potrebbe essere spiegata tenendo conto delle pressioni sociali che inducono le ragazze, più dei maschi, ad assumere atteggiamenti materni.
Nonostante queste influenze culturali, diversi studi giungono alla conclusione che esiste una certa somiglianza nelle reazioni di attaccamento da parte dei padri e delle madri durante i loro primi scambi con il bebè. In alcuni studi, è stato, infatti, osservato che quando il neonato viene loro presentato per la prima volta, i padri manifestano le stesse reazioni delle madri (Klaus, Kennel, Plumb, Zuehlke, 1970) e interagiscono con il bebè come le loro mogli (Parke, O’ Leary, 1976).
Dal punto di vista del bambino, si osserva che anche in questo caso il padre non sembra semplicemente occupare un posto secondario. Infatti, nel momento in cui i piccoli imparano a distinguere una persona familiare da un’estranea, i comportamenti di attaccamento a 7, 8, 12 o 13 mesi non indicano alcuna preferenza per l’uno o l’altro genitore (Lamb, 1977a). Anche all’età di 12, 15, 18 e 21 mesi, i bebè mostrano reazioni di protesta analoghe sia alla partenza del padre che a quella della madre, riservando ad entrambi un’accoglienza calorosa (Kotelchuck, 1972).
Da queste ricerche emerge che il padre, come la madre, può assicurare al suo bambino un certo livello di sicurezza. Tuttavia, sono anche numerosi gli studi che portano a pensare che il padre sia meno adatto della madre, o meno importante, per quanto riguarda l’organizzazione del sistema di attaccamento.
La “superiorità” della madre
Da numerose ricerche (Power, Parke, 1983; Heerman, Jones, Wikoff, 1994) sembrerebbe emergere che per quanto riguarda la valutazione delle abilità genitoriali, i padri siano complessivamente meno sensibili delle madri ai segnali del loro bambino. Secondo Lamb (1996) il motivo per cui gli uomini non riescono a cogliere adeguatamente i bisogni dei loro piccoli risiede nel fatto che se ne occupano meno e ciò potrebbe indurli a non intercettare i segnali, anche non verbali, emessi dai loro bambini.
Un’altra ipotesi potrebbe essere quella che essi stessi dubitano della propria capacità di prendersene cura. Uno studio ha interrogato alcuni padri a cinque giorni dopo la nascita dei loro bambini che erano malati, per i quali la gravidanza della loro madre era stata difficile (de Chateau, 1976). Da questa ricerca è emerso che i padri si giudicavano meno importanti delle madri per il loro figlio.
Dal punto di vista del bambino, numerose ricerche hanno confermato che i bambini tendono a “chiacchierare” di più con il genitore dello stesso sesso che con quello del sesso opposto (Spelke, Zelazo, Kagan, Kotelchuck, 1973). Inoltre, è stato osservato che i maschi, a differenza delle femmine, trascorrono più tempo a guardare il padre che la madre (Lamb, 1977a, 1977b).
Secondo la definizione che ha dato Bowlby, una figura di attaccamento è considerata dal bambino come un porto di sicurezza e non una sorgente di interessi in senso più ampio, e rappresenta per il bambino la persona alla quale si rivolge quando si sente in pericolo. Il bambino utilizzerà questa figura come un porto sicuro, ovvero come una base sicura.
Diversi studi hanno dimostrato che i bambini quando si trovano in una situazione di sofferenza, all’età di 12 e di 18 mesi si rivolgono preferibilmente alla madre (Lamb, 1976a, 1976b), sebbene questa scelta non sia sistematica in quanto all’età di 8 e 21 mesi non viene confermata.
Diversi autori (Main, Kaplan, Cassidy, 1985), hanno confermato che mettendo in rapporto le rappresentazioni dei genitori con i comportamenti di attaccamento dei loro bebè è presente un’influenza notevole da parte della madre, mentre è debole da parte del padre. Anche altri studi (Steele, Steele, Fonagy, 1996) sono giunti a conclusioni analoghe.
L’importanza del padre nell’esplorazione
Le ricerche hanno quindi confermato l’importanza relativa di ciascun genitore per quanto riguarda l’attaccamento dei bambini e portano dunque in generale a concludere che lo spazio più importante è occupato dalla madre. Tuttavia gli studi che sono giunti a questa conclusione hanno valutato nei padri caratteristiche e funzioni tipicamente materne.
Considerare il padre come una figura di attaccamento non soltanto distinta, ma anche diversa rispetto alla madre, può aiutare a cogliere le potenzialità specifiche per lo sviluppo affettivo del bambino. Le ricerche che si propongono di far emergere le specificità di ciascuno dei due genitori convergono grosso modo su un punto: le interazioni madre-bambino non sono equivalenti a quelle padre-bambino. Emerge, infatti, che sebbene i bambini abbiano lo stesso stile d’attaccamento (sicuro, evitante o resistente) con i due genitori (Fox, Connel, Belsky, 1991), il tipo di interazione è diverso e, soprattutto, i loro comportamenti di attaccamento variano in funzione del sesso del genitore (Bridges, Connell, Belsky, 1988) e la relazione con ciascun genitore trova modalità differenti di esplicitarsi.
In sintesi, è stato constatato che il padre costituisce un partner di gioco privilegiato (Clarke-Stewart, 1977; 1978; Kotelchuck, 1976), mentre la madre interagisce con il bambino soprattutto in un contesto di cura, quale nutrirlo o il tenerlo pulito (Lamb, 1977c, Belsky, Gilstrap, Rovine, 1984; Belsky, Volling, 1987).
Lo stile interattivo del padre dal momento che si distingue da quello materno, svolge un’importante funzione a livello di identità sessuale del bambino piccolo (Zaouche-Gaudron, 1997), tuttavia restando nell’ambito dell’attaccamento o occorre chiedersi se le interazioni ludiche assolvono una funzione particolare per quanto attiene il sentimento di sicurezza del bambino.
L’obiettivo ultimo del sistema di attaccamento è quello di garantire la sopravvivenza della specie. Per questa ragione Bowlby ha molto insistito sul bisogno di protezione dei piccoli, ma assieme alla Ainsworth ha anche sottolineato l’importanza del sentimento di sicurezza dell’esplorazione dell’ambiente (Ainsworth et al., 1978; Bowlby, 1978). Infatti, la presenza di una base sicura, vale a dire di una figura di attaccamento disponibile e affidabile, permette al bambino di sentirsi sufficientemente fiducioso ad intraprendere ciò che altrimenti non farebbe mai, come ad esempio l’esplorazione dell’ambiente. Questa esplorazione non è possibile o efficace se non a patto che il piccolo avverta che c’è qualcuno che veglia su di lui e che pertanto non deve preoccuparsi per la propria sicurezza.
L’arrivare a padroneggiare la propria autonomia e la scoperta del mondo esterno possono dunque essere considerati come l’esito dell’attaccamento. La sicurezza a livello dell’esplorazione è parte integrante del concetto di sicurezza dell’attaccamento (Grossman, Zimmerman, 2000) e questa esplorazione può essere agevolata dalla presenza di supporto di un padre che assolve al proprio ruolo.
Articolo a cura del:
Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica
Bibliografia:
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Ongari, B. (2006). La valutazione dell’attaccamento nella seconda infanzia. L’attachment story completion task: aspetti metodologici ed applicativi. Unicopli.