L’organizzazione degli spazi e degli ambienti nella famiglia: il legame con i disturbi del comportamento

Nel lavoro clinico con i bambini e gli adolescenti che presentano disturbi del comportamento, si tende spesso a focalizzare l’attenzione esclusivamente sui sintomi manifesti: iperattività, aggressività, disregolazione emotiva, disturbi della condotta, comportamenti alimentari problematici.
Tuttavia, uno sguardo più ampio e sistemico ci invita a considerare anche il contesto fisico ed emotivo in cui questi comportamenti emergono.

La disposizione degli spazi domestici, le modalità con cui si organizzano i momenti di sonno, di gioco, di separazione e di incontro all’interno della casa non sono mai neutri.
Essi riflettono — e talvolta cristallizzano — dinamiche relazionali profonde che possono contribuire, sostenere o talvolta persino alimentare la sintomatologia del bambino (Bowlby, 1988; Siegel, 2012).

Comprendere come gli spazi vengano organizzati e vissuti all’interno della famiglia significa, dunque, leggere una parte fondamentale della storia emotiva che sta dietro al sintomo.

L’organizzazione degli spazi come specchio delle relazioni familiari

La casa è il primo mondo che il bambino conosce.
Gli ambienti domestici, la loro organizzazione, i confini tra gli spazi individuali e quelli condivisi veicolano messaggi importanti sulla separazione, sull’autonomia, sulla protezione e sulla fiducia.

Quando gli spazi sono ben definiti ma flessibili, capaci di rispettare i bisogni individuali e al contempo favorire l’incontro, il bambino percepisce sicurezza e prevedibilità.
Al contrario, quando i confini sono troppo rigidi o troppo sfumati, si creano zone di confusione che possono riflettersi nei comportamenti.

Un esempio ricorrente riguarda l’organizzazione del sonno.
Nelle famiglie in cui i figli dormono regolarmente nel letto dei genitori, o in cui i genitori si dividono in camere separate per accudire ciascun figlio, possiamo trovarci di fronte non solo a bisogni contingenti (ad esempio gestire i risvegli notturni) ma anche a difficoltà più profonde nella gestione delle separazioni emotive (Winnicott, 1971).

La mancanza di confini chiari negli spazi domestici può favorire nel bambino la difficoltà a regolare le proprie emozioni, a tollerare la frustrazione, a sviluppare l’autonomia, elementi centrali anche nella genesi di molti disturbi del comportamento.

Quando il sintomo diventa funzionale: il vantaggio secondario

Esistono situazioni in cui l’organizzazione apparentemente disfunzionale degli spazi risponde, in realtà, a bisogni emotivi profondi e, spesso,  inconsapevoli dei membri della famiglia.
In questi casi il sintomo del bambino, pur portando sofferenza, svolge una funzione utile a mantenere un equilibrio fragile all’interno del sistema familiare.

Questo meccanismo, ben conosciuto nella clinica sistemica, è noto come “vantaggio secondario” (Minuchin, 1974).
In sostanza, il comportamento disfunzionale del bambino permette di evitare o di mascherare tensioni, conflitti o difficoltà relazionali tra i genitori.

Un esempio emblematico è la situazione in cui un figlio dorme stabilmente con uno dei genitori, mentre l’altro genitore dorme con un altro figlio o in un altro spazio.
A prima vista, questa può apparire come una soluzione “pratica” per gestire il sonno difficile dei bambini.
In realtà, in molti casi, questa disposizione serve inconsciamente a evitare l’intimità di coppia.
La presenza costante di un figlio tra i due genitori impedisce la possibilità di ritrovare uno spazio di vicinanza, di confronto, di sessualità, proteggendo il sistema familiare dal rischio di affrontare conflitti irrisolti che potrebbero mettere a repentaglio la stabilità della coppia (Cigoli, 1988).

Se da un lato questa organizzazione permette di evitare uno scontro frontale tra i genitori, dall’altro sacrifica il benessere emotivo del bambino, che si trova coinvolto in una posizione di triangolazione, caricato di compiti relazionali che non gli competono.

Le ricadute sui figli: disturbi del comportamento e oltre

Quando il bambino viene collocato inconsciamente al centro delle tensioni genitoriali, il suo sviluppo emotivo e comportamentale può risentirne in modo significativo.
Quadri di disattenzione, iperattività, oppositività o difficoltà nella gestione delle emozioni possono essere espressione, almeno in parte, di questo carico relazionale sommerso (Fonagy et al., 2002).

Il bambino può diventare ipervigile, iperattivo, disorganizzato nei comportamenti, manifestando sintomi compatibili con diagnosi di ADHD o di disturbi della condotta (American Psychiatric Association, 2013).
In altri casi, il disagio può emergere attraverso difficoltà nella sfera alimentare, alterazioni del ritmo sonno-veglia o manifestazioni psicosomatiche.

È fondamentale, pertanto, che l’osservazione del sintomo non si limiti alla valutazione del comportamento in sé, ma tenga conto del contesto familiare e delle dinamiche spaziali ed emotive in cui il bambino è inserito.

Il modo in cui una famiglia organizza i propri spazi quotidiani racconta molto più di quanto possa sembrare.
Nell’organizzazione delle camere, dei letti, degli spazi condivisi o separati si riflettono bisogni emotivi, alleanze implicite, conflitti taciuti.

Quando un bambino manifesta disturbi del comportamento, è essenziale guardare oltre il sintomo, esplorando anche come la casa, i suoi spazi e la sua gestione rappresentino, talvolta, la fotografia di dinamiche relazionali più profonde.

Affrontare con delicatezza ma con chiarezza queste tematiche, aiutando i genitori a riconoscere eventuali vantaggi secondari e a ripensare l’organizzazione familiare, può rappresentare un passaggio essenziale nel percorso di cura del bambino e della famiglia nel suo insieme.

Articolo a cura del: 
Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica

Fonti bibliografiche:

  • American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.
  • Bowlby, J. (1988). Una base sicura: Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore.
  • Cigoli, V. (1988). La casa della famiglia: Complessità relazionale e regolazione emotiva. FrancoAngeli.
  • Fonagy, P., Gergely, G., Jurist, E. L., & Target, M. (2002). Affect Regulation, Mentalization, and the Development of the Self. Other Press.
  • Minuchin, S. (1974). Families and Family Therapy. Harvard University Press.
  • Siegel, D. J. (2012). The Developing Mind: How Relationships and the Brain Interact to Shape Who We Are. Guilford Press.
  • Winnicott, D. W. (1971). Gioco e realtà. Armando Editore.

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