La Psicologia pediatrica nasce nei primi anni del ‘900 negli Stati Uniti, quando L. Witmer, psicologo clinico, fonda la prima clinica di psicologia che si occupa di bambini con ritardo cognitivo e disturbi dell’apprendimento che vengono inviati dalle scuole.
Witmer trascorse gran parte del suo tempo a lavorare in tandem con i medici per migliorare i comportamenti dei bambini. Più avanti, attorno al 1917, W. Healy psichiatra statunitense, insieme alla moglie A. Bronner, nominati co-direttori del Judge Baker Guidance Center di Boston, iniziano ad occuparsi di giovani delinquenti e delle loro famiglie. Ad entrambi si attribuisce il merito di aver avviato rapporti di collaborazione con l’ambiente medico.
Questi rapporti man mano andarono dissolvendosi a causa di una relazione troppo stretta fra la Psichiatria e la Psicologia che si focalizzava sulla psicopatologia infantile, trascurando lo sviluppo infantile normale e il trattamento di bambini mentalmente sani, ma sottoposti a forte stress a causa di gravi condizioni mediche. Questa esclusiva collaborazione tra la Psicologia clinica e la Psichiatria porta presto ad un graduale allontanamento della Psicologia clinica infantile dalla Medicina, in un momento in cui invece, sembrava che si stesse finalmente aprendo uno spazio all’interno dei setting clinici di medicina. Un’altra causa va ricercata nella scarsa collaborazione e condivisione di interessi comuni fra la Psicologia infantile e la Pediatria. La Pediatria, inoltre, era molto incentrata sulla nutrizione e sulla cura dei bambini malati e iniziava a percepire la Psichiatria come una disciplina intrusiva. Questo insieme di fattori, portò presto alla formazione di pregiudizi condivisi fra i pediatri sia rispetto agli psichiatri infantili che verso gli psicologi.
Nel 1930, Anderson tenne un discorso al convegno dell’American Medical Association rinnovando la posizione di Gesell (psicologo clinico americano, pediatra e professore alla Yale University), sottolineando come lo psicologo avesse le conoscenze e le competenze per agire e operare all’interno del contesto pediatrico, fornendo da un lato un’assistenza più adeguata al bambino e dall’altro la possibilità di offrire attività rivolte alla famiglia finalizzate al sostegno del bambino. Questo autore pensava che la pediatria e la psicologia infantile dovessero lavorare insieme su questioni reciprocamente importanti.
Durante gli anni ’60 del XX secolo, un numero crescente di pediatri ha iniziato ad occuparsi di aspetti riguardanti la formazione dei genitori. Di conseguenza, nel 1964, l’allora presidente dell’American Pediatric Society, Julius Richmond, suggerì ai pediatri di assumere psicologi clinici per lavorare con i problemi comportamentali presenti nei bambini.
La Psicologia clinica infantile riuscì a distaccarsi dalla Psichiatria, ritagliandosi una propria area di intervento e concentrando il suo interesse sullo sviluppo normale del bambino, con l’obiettivo di giungere ad una definizione delle competenze evolutive. In questo modo venivano a crearsi le condizioni per la nascita della Psicologia pediatrica.
Nel 1965, Kagan inizia a parlare di un matrimonio fra la Psicologia e la Pediatria evidenziando come l’incontro di queste due discipline possa tracciare le linee guida per la prevenzione, la ricerca e il trattamento clinico. Kagan ha affrontato gli aspetti relativi al ruolo degli psicologi nella diagnosi precoce di disturbi rispetto agli interventi. Proprio nel ruolo di psicologo clinico-infantile, Kagan credeva che questo ruolo includesse un’ampia gamma di psicopatologie.
Logan Wright, psicologo pediatrico americano, conia il termine psicologo pediatrico, elaborando due figure: il pediatra psicologico e lo psicologo pediatrico.
Wright, tuttavia, aveva un’idea diversa rispetto a Kagan per ciò che riguarda il lavoro che uno psicologo pediatrico dovrebbe affrontare. Per questo autore, i compiti dello psicologo pediatrico sono più ristretti: egli ha suggerito che gli psicologi pediatrici dovrebbero adottare un approccio più comportamentale e affrontare questioni relative alla formazione dei genitori, allo sviluppo del bambino e alla terapia a breve termine.
Wright, delinea la figura dello psicologo pediatrico, definendolo come un professionista di formazione psicologica che si trova ad occuparsi di bambini in ambito medico non psichiatrico. Fu uno dei primi psicologi a dimostrare quanto gli interventi psicologici potessero migliorare l’assistenza medica pediatrica.Il suo contributo va rintracciato anche nell’ambito del testing psicologico pediatrico, ambito in cui le richieste di valutazione cognitiva e dello sviluppo sono più numerose rispetto a quelle provenienti dal contesto psichiatrico. Secondo Wright, le competenze dello psicologo pediatrico si estendono anche al modo in cui i bambini vengono allevati. Lo psicologo pediatrico, secondo questo autore, è in grado di fornire assistenza rispetto ai problemi comportamentali che nel corso dello sviluppo possono presentarsi con frequenza elevata. Lo psicologo pediatrico, secondo Wright, è un professionista che riesce a fornire indicazioni rispetto alle condizioni che possono privilegiare uno sviluppo ottimale sul versante cognitivo, affettivo e sociale del bambino e aiuta i genitori a mettere in atto comportamenti adeguati per facilitare l’emergere delle condizioni ideali in cui questo sviluppo possa avvenire.
Infine, sempre secondo Wright, anche nel contesto psichiatrico, laddove non sono presenti forme psicopatologiche significative, occorre comunque intervenire sollecitando una formazione che mira ad incrementare la conoscenza e l’interessa del bambino, rispetto alla personalità, orientando lo studio verso i problemi della prevenzione dei disturbi emozionali e della personalità.
Articolo a cura del:
Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica