Perché il coinvolgimento di entrambi i genitori è fondamentale quando si chiede aiuto per il proprio bambino

Quando un genitore si accorge che il proprio bambino sta vivendo un momento di difficoltà — che si tratti di una fatica emotiva, di un cambiamento comportamentale o di un arresto nello sviluppo — il desiderio di intervenire per proteggerlo è naturale. Il bisogno di agire per offrire al proprio figlio sollievo e sicurezza spinge spesso uno dei due genitori a muoversi rapidamente, contattando uno specialista e cercando una risposta immediata. Tuttavia, in questi momenti così delicati, può accadere che l’altro genitore appaia meno coinvolto, più distante o addirittura scettico rispetto alla necessità di un aiuto esterno. In queste situazioni, può nascere la tentazione di procedere comunque, ritenendo secondaria la partecipazione dell’altro genitore. È importante, invece, fermarsi a riflettere: il coinvolgimento di entrambi i genitori, anche in forme diverse, non è solo un requisito formale o burocratico, ma un elemento fondamentale per il benessere emotivo del bambino e per il successo stesso del percorso di sostegno.

L’attivazione emotiva nella richiesta di aiuto

Quando un genitore decide di chiedere aiuto, è spesso spinto da un vissuto di forte attivazione emotiva. Questa attivazione può essere alimentata da paure profonde: la paura di aver sbagliato qualcosa, la paura che il bambino possa portarsi dentro ferite durature, la paura di non essere stati capaci di proteggerlo.

La sofferenza del proprio figlio risveglia emozioni primarie potentissime che spingono il genitore a cercare una soluzione immediata, quasi a voler “riparare” il danno il più in fretta possibile. In questo stato emotivo, l’urgenza prevale spesso sulla riflessione, e l’assenza o la titubanza dell’altro genitore può essere vissuta come una frustrazione dolorosa o come un ostacolo insopportabile. Tuttavia, proprio quando ci si sente più soli e più pressati dalla necessità di agire, è fondamentale ricordarsi che il lavoro con il bambino — e ancor più quello sulla relazione genitore-figlio — ha bisogno di una base sicura anche tra gli adulti. Senza una reale condivisione del percorso da parte di entrambi i genitori, il bambino rischia di percepire, anche inconsciamente, un clima emotivo instabile che può rendere più difficile il lavoro terapeutico.

Il significato profondo del consenso di entrambi i genitori

Chiedere il consenso di entrambi i genitori non è solo un atto dovuto per ragioni legali, ma ha un valore psicologico molto più profondo. Firmare un consenso significa, anche in modo simbolico e concreto, riconoscere che la cura del bambino è una responsabilità condivisa, anche quando esistono visioni diverse o livelli differenti di coinvolgimento emotivo. Il bambino, anche se molto piccolo, percepisce la coerenza emotiva dei suoi genitori: sente se mamma e papà si parlano, si ascoltano, si sostengono nelle scelte che riguardano la sua crescita. Al contrario, quando avverte che un genitore si muove da solo, senza l’altro, può sperimentare una sensazione di instabilità o di insicurezza. Offrire al bambino l’immagine di due genitori che, pur con le loro diversità, collaborano per il suo benessere significa costruire una base di fiducia che sarà fondamentale per tutto il suo sviluppo. Il consenso reciproco non significa pensare esattamente nello stesso modo, ma significa dare un messaggio chiaro: “Anche se vediamo le cose da prospettive diverse, entrambi ci impegniamo a prenderti per mano e a sostenerti”.

I rischi di procedere senza il coinvolgimento dell’altro genitore

Procedere con un percorso terapeutico senza il coinvolgimento, almeno formale e consapevole, dell’altro genitore comporta rischi importanti. Il primo rischio riguarda la coppia genitoriale stessa: il genitore escluso può sentirsi messo da parte, non riconosciuto nel suo ruolo, o addirittura accusato indirettamente di non essere stato abbastanza attento o capace. Questa percezione, anche se non sempre esplicitata, può generare conflitti, tensioni sotterranee o atteggiamenti di sabotaggio passivo rispetto al percorso intrapreso. In secondo luogo, il bambino stesso rischia di percepire la mancanza di unità e di sentirsi, inconsapevolmente, diviso tra due lealtà. Questa situazione può generare insicurezza, disorientamento o senso di colpa, soprattutto se il bambino coglie che uno dei due genitori non approva pienamente ciò che l’altro sta facendo. Anche senza parole, i bambini sono estremamente sensibili al clima emotivo che li circonda. Lavorare sul benessere di un bambino significa anche lavorare, in parallelo, sulla qualità delle alleanze adulte che lo sostengono.

Come favorire il coinvolgimento dell’altro genitore

Favorire il coinvolgimento di entrambi i genitori richiede delicatezza, pazienza e, a volte, una disponibilità a procedere a piccoli passi. È importante non forzare il genitore più reticente, ma cercare di comprendere le sue paure e le sue resistenze. Spesso dietro l’apparente disinteresse si nascondono sentimenti di inadeguatezza, di paura di essere giudicati, o semplicemente una diversa modalità di vivere le emozioni.

Creare uno spazio di ascolto, in cui ciascun genitore possa esprimere liberamente il proprio punto di vista, è essenziale per costruire una base di fiducia. Anche piccoli gesti di partecipazione possono avere un valore enorme: una firma consapevole del consenso informato, una breve partecipazione a un incontro introduttivo, o anche solo un messaggio di sostegno al percorso intrapreso dall’altro genitore possono rappresentare segnali importanti per il bambino e per la buona riuscita del lavoro terapeutico. Non si tratta di pretendere una presenza costante o un impegno uguale da parte di entrambi, ma di costruire una cornice di collaborazione reale e percepibile.

Chiedere aiuto per il proprio bambino è un atto di grande amore e responsabilità, ma perché questo gesto possa davvero portare benefici profondi, è necessario che si fondi su un terreno di condivisione e collaborazione tra entrambi i genitori. Il bambino ha bisogno di sentire che la sua crescita e il suo benessere sono un progetto comune, anche quando i suoi genitori vivono emozioni diverse o hanno approcci differenti. Lavorare insieme, anche nelle difficoltà, è il dono più grande che si possa fare a un figlio: offrirgli la certezza che, comunque vadano le cose, mamma e papà sono capaci di prendersi cura di lui insieme.

Articolo a cura del: 
Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica

Fonti bibliografiche:

  • Bowlby, J. (1988). Una base sicura: Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento. Raffaello Cortina Editore.
  • Siegel, D. J., & Hartzell, M. (2004). Il bambino consapevole. Come aiutare i nostri figli a crescere sereni. Raffaello Cortina Editore.
  • Sunderland, M. (2007). La scienza della felicità per genitori e figli. Raffaello Cortina Editore.
  • Winnicott, D. W. (1971). Gioco e realtà. Armando Editore.

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