Cosa si intende con Dissociazione
La dissociazione è un termine che descrive la disconnessione tra alcuni processi psichici rispetto al restante sistema psicologico dell’individuo ovvero un’ assenza di connessione nel pensiero, nella memoria e nel senso di identità di una persona.
Nella vita quotidiana si possono vivere momenti di dissociazione come: dimenticarsi di essere alla guida poiché assorti in altri pensieri; leggere un brano senza però prestare effettivamente attenzione a quanto scritto.
Queste esperienze dimostrano la capacità dell’individuo di lasciarsi coinvolgere dalle proprie fantasie e di poter poi riprendere il controllo delle proprie funzioni mentali. In questi casi, la realtà dalla quale ci si allontana non è percepita come minacciosa e gli episodi in cui ci si dissocia restano transitori.
La dissociazione è dunque un processo di dis-integrazione, dove la mente perde la sua capacità di integrare alcune funzioni superiori.
Diverse osservazioni cliniche stabiliscono un legame causa- effetto tra trauma e dissociazione. La dissociazione non è una difesa dal dolore del trauma, essa si configura piuttosto come una disintegrazione di coscienza e intersoggettività. Quindi la dissociazione compromette le relazioni interpersonali e causa una deficitaria capacità di regolare le emozioni in caso di stress, uno sviluppo difettoso e una carente mentalizzazione (Liotti & Farina, 2011)
Il bambino frammentato
La dissociazione è un fenomeno che molte persone possono sperimentare nel corso della loro vita.
Si tratta di un meccanismo di coping (strategie per fronteggiare le avversità della vita) utilizzato per gestire fattori stressanti come ad esempio l’abuso sessuale o altri tipi di traumi.
Dal punto di vista della sopravvivenza la dissociazione ha la funzione di compartimentalizzare le aree del cervello legate alle esperienze traumatiche, con l’obiettivo di impedire di sentire troppo dolore, sia di tipo fisico che emotivo.
La dissociazione porta ad un distacco dalla realtà, a quello che si potrebbe definire un vero e proprio “black-out”, in cui la sensazione dominante è quella legata alla mancanza di percezione di “una parte di se stessi”.
I bambini che soffrono di problematiche dissociative presentano sintomi che possono essere mal interpretati e categorizzati con altri problemi psicologici.
Secondo la Società per lo Studio del Trauma e della Dissociazione, i bambini con disturbi dissociativi sono più inclini a sviluppare stati di trance o momenti di “assenza”, in cui il bambino non risponde o ha un improvviso calo dell’attenzione.
Questi bambini possono anche fissare il vuoto, dimenticare parti della loro vita o di ciò che stavano facendo un minuto prima, o agire come se si fossero appena svegliati dal momento di black-out.
L’associare questi cambiamenti di livello nelle attività, ovvero passare da uno stato letargico ad uno di iperattività, può portare i clinici a ipotizzare la presenza di un Disturbo da deficit di attenzione e iperattività o ad un Disturbo bipolare.
Altri sintomi dissociativi come variazioni anomale di umore, drammatizzazione, agire in modo socialmente inappropriato, o insistere sull’essere chiamati con un altro nome o avere un’altra età, può anche portare a diagnosi errate di disturbi psicotici o comportamentali.
Alla base di tutti questi sintomi in realtà vi è la tendenza per il bambino a separare parti di sé, una sorta di “frammentazione”.
Quest’ultima è spesso il risultato di un trauma già sperimentato.
Nei bambini, la situazione traumatica è spesso una forma di abuso o negligenza in casa, che può coinvolgerlo sia in qualità di testimone o di vittima.
Anche se il trauma sembra rivestire un ruolo importante per spiegare il fenomeno della dissociazione, alcuni clinici ritengono che l’attaccamento che si forma tra il bambino e il proprio caregiver potrebbe svolgere un ruolo sostanziale nella predisposizione a sviluppare sintomi dissociativi.
Nella teoria dell’attaccamento, il caregiver ideale fornisce una base sicura da cui e attraverso cui il bambino può ricevere supporto e conforto (attaccamento sicuro).
Le risposte genitoriali alle azioni del bambino determinano le modalità con cui il bambino vedrà e instaurerà le relazioni future con gli altri.
Una particolare forma di attaccamento, quello disorganizzato subentra invece quando il caregiver maltratta il bambino, spesso lo spaventa, trasmettendo e manifestando sentimenti ambigui di protezione e allo stesso tempo paura.
Questi genitori possono porre sul bambino aspettative irrealistiche, come pensare che il bambino sin da quando è piccolo sia in grado di badare da solo alla propria igiene personale, e se ciò non avviene tendono a colpevolizzare o addirittura punire il bambino.
I genitori che agiscono in tal modo, danno vita all’attaccamento disorganizzato, e lo rinforzano comportandosi in maniera incoerente; ad esempio a volte sono invadenti e altre volte completamente indifferenti. Tutto ciò crea molta confusione nel bambino.
Il bambino tende così a sviluppare più “visioni” incompatibili tra loro dei sui genitori, nel senso che li vive come fonte di protezione e di pericolo allo stesso tempo, sviluppando così una visione incompatibile di Sè, avvertendo una sensazione di confusione tra l’essere buono o cattivo.
Questi punti di vista incompatibili sono molto difficili da conciliare e da combinare in una struttura mentale coerente e ancora in formazione (ovvero in via di sviluppo come quella di un bambino!).
Il bambino vive pertanto questa confusione rispetto a chi sono i suoi genitori, e chi è egli stesso, il che rende difficile stabilire un senso di Sè coerente.
Questa sorta di frammentazione pone le basi per le esperienze dissociative.
Ciò che determina ancora maggior confusione riguarda il fatto che il bambino si trova di fronte ad un altro dilemma: proteggersi dai caregivers, mantenere una relazione con loro o entrambi.
Jennifer Freyd sottolinea che il “trauma del tradimento”, ossia quel senso di essere traditi che vivono i bambini che sono stati abusati dai propri genitori spiega perché molti di essi dimenticano l’abuso, cercando di tenerlo fuori dalla propria testa.
Il bambino è così costretto ad affrontare tali situazioni ricorrendo alla dissociazione.
Molti genitori che gettano le fondamenta per un attaccamento disorganizzato, purtroppo lo fanno perché hanno sperimentato a loro volta maltrattamenti durante la loro infanzia.
I ricercatori Paolo Paquini e Givoanni Liotti del Gruppo Italiano per lo Studio della Dissociazione hanno trovato che madri che esperiscono eventi traumatici o stressanti entro i primi due anni di vita del bambino, hanno una maggiore probabilità che il bambino sviluppi sintomi dissociativi e uno stile di attaccamento disorganizzato.
I genitori a rischio possono aiutare a prevenire tali “sviluppi” nei loro figli, partecipando a una terapia progettata per esaminare e risolvere i traumi vissuti nel loro passato.
La psicoterapia può anche contribuire ad insegnare ai genitori come interagire con i propri figli in modo coerente e responsivo (ma non reattivo!), e controllare le proprie emozioni per evitare azioni dannose.
In questo modo, è possibile non solo aiutare l’adulto ad elaborare le proprie esperienze infantili, ma anche contribuire a creare un ambiente familiare sano per il futuro del bambino.
Articolo a cura del:
Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica