Il bambino e la violenza assistita

Il maltrattamento infantile può essere alla base di vari disturbi come ansia, depressione, disturbi della condotta, disturbo post traumatico da stress. Il maltrattamento avviene sia nella violenza domestica, sia in altre forme di abusi del bambino (sia fisici che psicologici). Occorre subito dire che il maltrattamento infantile non riguarda soltanto il bambino di adesso, ma anche l’adulto che sarà. 

Si parla, infatti, anche di trasmissione intergenerazionale della psicopatologia, intendendo la trasmissione di pattern relazionali maladattivi i quali si sono installati all’interno dell’individuo attraverso l’apprendimento di modalità disfunzionali avvenuto durante le interazioni con i suoi caregiver di riferimento, determinando il perdurare di pattern relazionali maladattivi, da un punto di vista clinico, come messo in evidenza dalla teoria dell’apprendimento sociale.  

La violenza a cui si assiste in famiglia è una realtà drammatica che vede i bambini testimoni di violenza contro un genitore o un figlio e, sebbene nella maggior parte dei casi si tratti di una madre vittima di un marito violento, bisogna purtroppo considerare anche gli aspetti di collusione che sono presenti all’interno di un legame di coppia, come messo evidenza della ricerca e dalla clinica (Barthomew, Henderson e Dutton 2001; Clulow 2001; Morgan e Rusczynski 2007). 

Sebbene la maggior parte della letteratura sui bambini che assistono ad episodi di violenza domestica abbia tenuto in considerazione gli effetti potenzialmente dannosi sul benessere del bambino (Hester, Harvin e Pearson, 2000), è altrettanto importante considerare come la violenza domestica danneggi anche le relazione tra il bambino e la madre. 

In una ricerca del 2002 (Mullender et al., 2002), è stato riportato come vedere le madri mentre subiscono maltrattamenti fisici possa comunicare ai bambini il messaggio che esse siano incapaci di proteggersi e di proteggerli. Questo può portare i bambini a credere che le loro madri siano cattive perché vengono punite, impressione rafforzata anche dalla violenza verbale ad esse diretta.

La violenza subita, oltre a togliere alla madre la sua autorevolezza e il rispetto di cui ha bisogno per poter esercitare la sua funzione genitoriale, crea spesso problemi psicologici associabili a depressione, trauma e autolesionismo. È chiaro che è una donna che ogni giorno deve combattere per la propria sopravvivenza al maltrattamento, inevitabilmente, è una madre che non può disporre di molte energie e risorse per svolgere il proprio ruolo.

Davanti ad una situazione così pesante e drammatica un bambino può anche criticare fortemente questa situazione, gridando al padre “non picchiare la mia mamma!”. In questa circostanza, ovvero quando il bambino svolge un tentativo di opporsi al genitore violento per salvare la propria madre, siamo davanti ad una situazione completamente innaturale di rovesciamento del ruolo adulto-bambino. Questa situazione compromette il ruolo protettivo della madre nei confronti del figlio, soprattutto quando la sicurezza viene minacciata. Anche dal punto di vista dell’attaccamento (Bowlby 1969-1982), una situazione simile mette il bambino all’interno di una pericolosa situazione all’interno della quale contemporaneamente da un lato ricercherà il la sicurezza e dall’altro non potrà ottenerlo e anzi egli stesso è chiamato a svolgere un ruolo e una funzione che non gli compete, ovvero quella di dare protezione e sicurezza alla figura genitoriale.

Le dinamiche relazionali che si attivano in queste circostanze sono molto complesse, sintetizzando molto è possibile tenere in considerazione gli aspetti legati all’introiettati meccanismi di trasmissione più complessi come l’identificazione proiettiva, le attribuzioni cognitive e modelli operativi interni (MOI) distorti di sé e dell’altro.

Tutti i bambini esposti alla violenza familiare condividono sempre lo stesso dilemma: desiderare fortemente la sicurezza, ma nello stesso tempo, imparano che le persone che amano piangono l’una a causa dell’altra. Ormai è ampiamente accettato il fatto che assistere o fare esperienza di atti di forte violenza interpersonale interferisca sul raggiungimento delle tappe di sviluppo adeguate all’età ed espongo i bambini ad un rischio significativo di disturbi, quali il disturbo della condotta, il disturbo post traumatico da stress, l’ansia e la depressione (Margolin 1998; Osofsky e Sheeringa 1997; Pynoos 1993; Rossman, Hughes e Rosenberg 2000). 

Secondo la teoria dell’attaccamento assistere alla violenza domestica e a maltrattamenti continui danneggia l’aspettativa del bambino appropriata dal punto di vista dello sviluppo, secondo la quale i genitori saranno sempre disponibili e capaci di proteggerlo. In questi casi i genitori stessi diventare una fonte di pericolo piuttosto che coloro che lo proteggono. Il bambino impara che le persone a lui più care sono contemporaneamente anche quelle capaci di provocare il dolore maggiore. 

Il senso del Sé e il senso di fiducia nei confronti degli altri sono minacciati e si permeano di paura, rabbia, sfiducia e ipervigilanza, risposte che sono in contrasto con gli sforzi propri dell’età, volti a ricercare la vicinanza e la sicurezza con il genitore (Lieberman e Van Horn 1998; Main e Hesse 1990; Pynoos, Steinberg e Piacentini 1999). 

Tali risposte sono particolarmente evidenti nel periodo tra la nascita e l’inizio della scuola materna poiché è proprio durante questa fase dello sviluppo che i bambini apprendono prevalentemente dall’osservazione e dall’imitazione del comportamento degli adulti che amano (Kagan, 1981). Bambini che osservano e imitano l’aggressività fin da un’età precoce sono più inclini sia a diventare degli adolescenti e degli adulti aggressivi, sia ad usare l’aggressività come modalità per gestire lo stress all’interno delle relazioni intime (Kagan, 1984). 

La psicoterapia genitore-bambino, fra i diversi obiettivi e le funzioni che può svolgere in situazioni simili, si pone l’obiettivo di aiutare i bambini a modulare le emozioni negative, ad esprimere sentimenti in modo socialmente adeguato e a imparare modalità di riconoscimento e di rispetto delle motivazioni e dei sentimenti del genitore appropriati all’età. 

Articolo a cura del: 
Dott. Samuele Russo – Psicologo, Psicoterapeuta, Psicoterapeuta EMDR, specialista in Psicologia Pediatrica

Bibliografia:

  • Lieberman, A. F., & Van Horn, P. (2007). Bambini e violenza in famiglia: l’intervento psicoterapeutico con minori testimoni di violenza. Il mulino.

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